martedì, febbraio 22, 2011

[FUMORECE] STITCHES ovvero DIMMI DOVE RIPONI UN LIBRO E TI DIRO' QUANTO TI E' PIACIUTO.



Stitches di David Small è un fumetto che ha il diritto di stare nella vostra libreria.

Chiarito questo passaggio, possiamo tornare al post vero e proprio.
Che l'offerta a fumetti della Rizzoli - Lizard sia cambiata da qualche tempo è sotto gli occhi di tutti.
Io me ne sono accorto per una questione di mensole. Mi spiego.
La capacità che ha un lettore collezionista appassionato di fumetto di collocare gli oggetti (qui sinonimo di fumetti) nello spazio, attraverso ardite e metafisiche soluzioni architettoniche, tali da suscitare le invidie di Escher, è ormai un dato pacificamente acquisito da tutte le principali università occidentali (quelli orientali fanno ancora un po' di resistenza ma cederanno quanto prima).
Ma, anche a fronte della capacità di rendere uno spazio finito (casa vostra) uno spazio infinito (la vostra libreria), non tutto lo spazio è della stessa qualità. Per dirla semplicemente, ci sono le mensole in alto, quelle defilate, quelle che, per un motivo o per un altro, non guardate mai.
E su quelle mensole, diciamoci la verità, ci vanno i fumetti e libri che vi piacciano di meno, quelli che, oggettivamente non rileggerete mai più o, peggio, quelli a cui non PENSERETE mai più, messi laggù perchè, in cuor vostro, sapere che quel volume forse non merita nemmeno più un pensiero (non c'è furto più grave di quello compiuto da un brutto libro ai danni di un lettore appassionato e del suo tempo).

Dimmi dove riponi un libro e ti dirò quanto ti è piaciuto.
Stitches l'ho messo in una libreria nuova, liberata da poco da oggetti impropri (le librerie e le mensole sono per i libri. Tutto il resto dell'oggettistica mondiale può stare per terra o nelle vetrinette per quello che mi riguarda).
A fargli compagnia gli altri volumi di questa collana senza nome ma con tanti bei Nomi....

  Sofie e Abou di Judith Vanistendael di cui prima o poi vi parlerò




Garibaldi di Tuono Pettinato di cui vi ho già parlato


Superspy di Matt Kindt e tanti altri di cui non riuscirò a parlarvi mai


Certo, almeno un volume di questa collana mi ha lasciato perplesso, ma la media è altissima.
La misura della premessa (breve, come sempre nel mio stile) spiega la dichiarazione iniziale su Stitches.
Ci tenevo che sapeste che l'ho trovato un volume  meritevole, prima di scocciarvi con il resto del post.
Ma entriamo nel dettaglio:

STITCHES - VENTINOVE PUNTI è una storia autobiografica.
C'è un contesto, ben narrato.
C'è un evento, che modifica il contesto e nel farlo ne risalta i tratti.
C'è l'analisi alle modifiche del contesto, causate dall'evento.
C'è una catarsi, una riflessione e una reazione.
C'è, insomma, una storia. Una storia vera.
E non tanto perchè accaduta realmente, ma perchè narrata al di là delle convenzioni autoriali che spesso sfociano nell'illogico incomprensibile.

Non è una narrazione fine a se stessa. La costruzione grafica non è trascurata. E non potrebbe esserlo perchè parte integrante della storia raccontata.
Le soluzioni visive, forse non tutte originalissime, ma sicuramente ricercate e ragionate, condiscono abbondantemente il volume di piccoli regali metatestuali per il lettore.
L'uso delle varie sfumature di grigio,del non-colore che evitata in modo sprezzante (quasi offeso con la regole classiche), di riempire i neri è evocativo nella misura adatta al film su carta che scorre, pagina dopo pagina.
Un mezzatinta impura definisce le vignette, attribuisce profondità e calore ad un vicenda, di base triste e fredda, come farebbe (forse anche meglio) l'uso dell'intero spettro dei colori.

Le soluzioni grafiche, l'uso totalmente disinibito e un po' picaro delle vignette, spesso scontornate a voler sottolineare i momenti in cui l'autore invita il lettore ad immedesimarsi negli attori del racconto, quasi ad invitarlo di entrare dentro la vignetta, affascinano e coinvolgono.
Soprattutto l'uso quasi mai gratuito delle splash page, collocate in momenti cardine della narrazione sono dei passaggi a livello chiusi, davanti alle quale il lettore si ferma e si prende una sosta riflessiva.
Questo espediente narrativo, pienamente riuscito, permette all'autore di scandire un ritmo narrativo, di essere un padrone di casa che mostra la sua abitazione (la sua storia) al suo ospite (il lettore) decidendo lui quali
stanze mostrare per primo, quale percorso far fare e in quale punto fermarsi per far stazionare la concentrazione di chi legge ora su un aspetto e ora su un altro.
Pause narrative e focus on offerti con lo strumento che di solito è utilizzato per esaltare il lettore, per stupirlo.
Non per bloccarlo su un pensiero e indurlo alla riflessione.
Nel tratto di Small c'è un po' di Eisner (e nel tratto di chi non c'è?).
Purtroppo troppo poco (e quando mai può essere abbastanza? Non c'è abbastanza Eisner nemmeno in Eisner stesso).
Infatti la pecca del volume è proprio è il tratto puro, troppo altalenante nella sua qualità.
Spesso di parla di tratto brutto che racconta bene.
Non è questo il caso.
Il tratto, il disegno vero e proprio, soprattutto nella rappresentazione delle figure umane, passa da picchi himalayani a depressioni marianniche.
Soprattutto le splash page di cui parlavo prima sono estremamente curate, mentre le pagine con una griglia più classica, in cui l'autore non ha potuto sbizzarrire il suo estro di compositore evasivo rispetto ai normali canoni,
soffrono di questa mancanza di libertà autoimposta.
Quindi, per concludere questa recensione, come detto all'inizio del post:
Stitches di David Small è un fumetto che ha il diritto di stare nella vostra libreria.
Ma non in un posto qualsiasi.
Non su una mensola piena di polvere, magari irraggiungibile senza acrobatiche prestazioni.
Stitches merita un posto tra gli albi da leggere, rileggere e risfogliare.
David Small
Ma soprattutto tra gli albi da prestare agli amici a cui volete dimostrare che cinema e la letteratura non sono gli unici strumenti che esistono per narrare il quotidiano e l'orrore e che il fumetto può narrare anche l'orrore delle piccole cose, l'orrore della sfortuna e l'orrore per mancanza dell'amore dato per certo, come può essere quello familiare.
Complimenti all'anonimo editor (che poi anonimo non è, perchè dovrebbe trattarsi di Simone Romani) per la scelta di questo volume . Se non mi guardasse sempre come se fossi vestito da cosplayer di Pikachu quando mi avvicino allo stand della Lizard magari alla prossima fiera riesco anche a stringergli la mano.
Ma avrò la faccia strana? Mah.
Qui finisce la recensione. Ora se continuate a leggere avrete un piccolo spoiler (non vi preoccupate che con una pomata passa tutto) sul volume.
Nel romanzo grafico è il padre del protagonista a causargli involontariamente il tumore, dato che sostiene che negli anni sessanta qualunque difficoltà respiratoria era curata con i raggi X. Da due a quattrocento irradiazioni, sarebbero quelle ricevute da Small. A volta.
Su questo dato non sono riuscito a trovare on line una sola informazione.
Le scoperte della scienza tutte in prima pagina (oh Dio, neanche sempre) ma gli errori della scienza?
Vabbè.
Ah. Bonus track. Uno dei trailer del volume.
Il Glifo delle mensole
Ps: se cercate una recensione di questo volume un po' più professionale, ne trovate una qui ad opera di Valerio Stivé


4 commenti:

valerio stivé ha detto...

A me ha lasciato una freddezza e un distacco disarmante... non mi ha preso per niente.
Dopo ti rileggo meglio e magari ne riparliamo :)

Andrea Mazzotta - ILGLIFO ha detto...

L'avevo capito dalla tua recensione.
Ti è sembrato freddo.
A me è sembrato glaciale e bollente al testo testo. Hai presente il ghiaccio che brucia?
Ecco.
A dopo

Maurizio ha detto...

Io sono più o meno d'accordo con Valerio (come avrai intuito dal fatto che la mia copia non è più di mia proprietà, ma si trova "in una libreria nuova, liberata da poco da oggetti impropri" ;), l'ho trovato poco riuscito e incapace di provocarmi dei sentimenti che andassero oltre l'ovvia compassione per un bambino costretto a vivere in una situazione familiare simile.
E' chiaramente un gesto catartico da parte di Small, che è però evidentemente più artista che fumettista, e non trova quasi mai il ritmo giusto per fare andare l'opera oltre il resoconto autobiografico.
Mi ha deluso quasi quanto il Fun Home che Valerio ha invece apprezzato, per motivazioni molto simili, ma almeno in Fun Home l'abilità fumettistica della Bechdel veniva fuori a tratti (rendendo forse proprio per questo più fastidiosi i momenti più pretenziosi e autoindulgenti dell'opera).

michele petrucci ha detto...

Però è vero… forse le troppe pagine l'hanno un po' scoraggiato e alla fine sono un po' tirate via.
Ma a me è piaciuto.